Buoni fruttiferi postali: rimborsi sbagliati per le serie O e P successive al 1° luglio 1986

Dallo Sportello dei Diritti: ecco di cosa si tratta e cosa bisogna fare per verificare i requisiti del caso.

Buoni fruttiferi postali: rimborsi sbagliati per le serie O e P successive al 1° luglio 1986
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Buoni fruttiferi postali: rimborsi sbagliati per le serie O e P successive al 1° luglio 1986. Dallo Sportello dei Diritti: ecco di cosa si tratta e cosa bisogna fare per verificare i requisiti del caso.

Buoni fruttiferi postali: rimborsi sbagliati per le serie O e P successive al 1° luglio 1986

Rimborsi sbagliati dei buoni fruttiferi postali: la posizione dello Sportello dei diritti. Come riporta novaranetweek.it. Caso rimborsi sbagliati dei buoni fruttiferi postali. L’intervento dello “Sportello dei Diritti” sull’argomento.

“Lo sportello è tra le associazioni maggiormente impegnate sul territorio nazionale nella tutela dei risparmiatori e utenti nella particolare materia dell’annosa vicenda dei ridotti rimborsi dei Buoni Fruttiferi Postali da parte di Poste Italiane, come dimostrano le numerose decisioni a favore dei cittadini che abbiamo pubblicato. In tale ottica, è opportuno riportare l’attenzione sul tema alla luce di recenti decisioni che stanno riportando in auge il problema, per la verità – rileva Giovanni D’Agata presidente dello Sportello – circa la correttezza o meno dell’agire di Poste Italiane nella liquidazione dei buoni una volta portati all’incasso”.

L’intervento dello specialista, l’avvocato Donato Maruccia

Riassumo brevemente: in Italia un padre o una madre di famiglia con i risparmi (beati loro che riuscivano anche a mettere qualcosa da parte) investivano acquistando i Buoni fruttiferi emessi da Cassa Depositi e Prestiti (lo Stato) e venduti da Poste Italiane. Nella parte retrostante del buono a seconda delle serie vi erano e vi sono delle indicazioni sulla liquidazione degli interessi: nel primo caso un tot di interessi ogni tot anni e la tabella contempla tutti e 30 gli anni; nel secondo caso vi è una somma determinata anno per anno per i primi 20 anni e per gli ultimi dieci una somma di denaro da aggiungere a titolo di interessi per ogni bimestre (per complessivi 60 bimestri); nel mezzo c’è ogni e qualsiasi errore, timbri rossi su tabelle prestampate, mancanza di alcuna indicazione sugli ultimi dieci anni e chi più ne ha più ne metta.Tutto era ordinato, anche alla luce della sentenza delle Sezioni Unite, n. 13979/2007 con la quale la Cassazione aveva avuto modo di pronunciarsi in relazione alla variazione del tasso di interesse ai sensi della quale “nella disciplina dei buoni postali fruttiferi dettata dal testo unico approvato con il d.P.R. 29 marzo 1973 n. 156, il vincolo contrattuale tra emittente e sottoscrittore dei titoli si forma sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta sottoscritti; ne deriva che il contrasto tra le condizioni, in riferimento al saggio degli interessi, apposte sul titolo e quelle stabilite dal d.m. che ne disponeva l’emissione deve essere risolto dando la prevalenza alle prime, essendo contrario alla funzione stessa dei buoni postali – destinati ad essere emessi in serie, per rispondere a richieste di un numero indeterminato di sottoscrittori – che le condizioni alle quali l’amministrazione postale si obbliga possano essere, sin da principio, diverse da quelle espressamente rese note al risparmiatore all’atto della sottoscrizione del buono”.Alla luce di questa sentenza in un mondo ordinato la questione, il dubbio viene definitivamente abbandonato! E invece no! Il caso dei buoni fruttiferi postali è ancora aperto e a giudicare dalle decisioni dell’Arbitro Bancario Finanziario delle ultime settimane ce n’è abbastanza per parlare di vero e proprio pasticcio. In diversi contenziosi l’autorità sta infatti chiedendo Poste Italiane a restituire parte degli interessi non versati, ma dovuti, ai risparmiatori. La vicenda si è riaperta nel febbraio scorso quando la corte di Cassazione, in una sentenza, ha legittimato una condotta che ha fatto infuriare migliaia di risparmiatori: abbassare il tasso di interesse dei buoni, anche con effetto retroattivo. Questo perché il Codice postale del 1973 lo aveva consentito. Nel 1999, invece, è stata abolita la possibilità di estendere le variazioni dei rendimenti (anche in senso negativo) ai buoni già emessi a protezione dei diritti dei consumatori.Questa nuova possibilità non è però aperta a tutti.La questione è aperta per chi ha investito in buoni fruttiferi dopo il primo luglio 1986. Dopo l’entrata in vigore del decreto le Poste avrebbero dovuto emettere buoni della serie Q. Ma per un po’ di tempo hanno continuato a utilizzare vecchi moduli delle serie O e P che indicavano tassi superiori ma – di fatto – non più applicabili. La legge consentiva alle Poste di utilizzare, fino a esaurimento, solo i buoni della serie P (e non quelli della serie O) a patto però che l’impiegato apponesse due timbri, uno sul fronte e uno sul retro. Sul timbro frontale doveva essere scritto “Serie P-Q” mentre sul retro doveva riportare i nuovi rendimenti a trent’anni. “Solo che in molti casi Poste o non ha timbrato i vecchi buoni, o li ha timbrati in modo sbagliato indicando solo i nuovi interessi.E così migliaia di risparmiatori hanno pensato che la rendita sarebbe stata la stessa, salvo poi riscuotere, 30 anni dopo, una cifra nettamente inferiore a quella che si aspettavano. Per fare tutto in regola usando i buoni P, Poste avrebbe dovuto realizzare tanti timbri quanti erano i tagli dei buoni (da 50.000 lire a 5 milioni di lire) perché la rendita varia in base al capitale investito.Invece ha deciso di andare al risparmio usandone solo uno con gli interessi dei primi vent’anni: lasciando inalterato il rendimento successivo dal ventunesimo anno fino al 31 dicembre del trentesimo dall’emissione. Andando incontro a una pioggia di ricorsi, tanto che sia la Cassazione sia, prima ancora, la Corte Costituzionale, hanno sancito che i moduli dei buoni fruttiferi postali equivalgono a dei veri e propri contratti. In effetti in queste decisioni viene ripreso il concetto espresso dalla Cassazione nel 2007, e cioè che ‘carta canta’: l’Abf torna a riconoscere il ruolo contrattuale dei buoni che le Sezioni Unite avevano messo in secondo piano pochi mesi fa.

Cosa bisogna verificare?

La data di emissione: se è anteriore al primo luglio 1986 le possibilità sono scarse; Se la data è posteriore, verificare la serie. Se è “O” è probabile che, in caso di contenzioso, l’Arbitro Bancario Finanziario dia ragione al risparmiatore; Se la serie è “P” bisogna verificare che siano stati apposti i due timbri: “P-Q” sul fronte e la tabella di tutti i nuovi rendimenti della serie Q, di tutti i 30 anni.

Considerato che i rendimenti dei buoni fruttiferi postali degli anni ’80 erano molto alti perché collegati all’inflazione – concludono dall’ente di assistenza e tutela dei cittadini – fare questo controllo potrebbe consentire di recuperare cifre importanti. In ogni caso il consiglio, prima di agire, è sempre quello di rivolgersi a un professionista che conosca a fondo la materia.

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