Ricerca petrolio: Shell mostra come avviene - Il video

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Ricerca petrolio: Shell mostra come avviene - Il video

Ricerca petrolio: tra polemiche e divulgazione

Già da mesi si parla del permesso di ricerca "Cascina Alberto", la grande area che Shell intende sondare. Subito s'è levato un coro di NO dal territorio. La posizione dei sindaci dei paesi coinvolti ed in generale quella degli ambientalisti, come Legambiente, è semplice e si può riassumere  così: "Non vogliamo che la campagna si faccia perché se anche ci fosse il petrolio non ne permetteremo mai l'estrazione. Per cui evitino proprio di cominciare".

I comuni del Vercellese interessati dal permesso “Cascina Alberto” sono Lenta, Ghislarengo, Roasio, Lozzolo, Gattinara, Rovasenda e Borgosesia.

Però in cosa consista veramente  ciò che Shell sta chiedendo di fare non è sempre chiaro. Non si parla comunque di trivelle...  Sul numero di Notizia Oggi Vercelli di lunedì 12 febbraio (in edicola fino a domenica 18) trovate il servizio completo, qui ci concentriamo sui metodi di indagine.

La parola alla Shell

Ma cosa si tratta in pratica ce lo spiega Roberto Pedemonte, responsabile del progetto per Shell Italia.
«Vogliamo verificare con un'analisi geofisica completa se la composizione degli strati di terreno è non solo idonea a ospitare giacimenti ma anche alla conservazione nel tempo, ci sono infatti dei particolari strati rocciosi che possono sigillare il petrolio ed evitarne l'evaporazione. Con questa indagine otterremo una griglia le cui linee sommate insieme raggiungono i 500 km. Una mappa che ci darà l'esatta cognizione della conformazione geologica dell'area. Sulla base dei risultati partiremo per approfondire in una determinata area oppure no. Se ci saranno nuove ricerche anche queste dovranno essere autorizzate»

Come avverranno le ricerche

In questo video è illustrata la procedura "vibroseis" che dovrebbe essere la più utilizzata nelle eventuali indagini petrolifere.

«Useremo essenzialmente due metodi - spiega Pedemonte. Il primo è la tecnica cosiddetta “vibroseis”, il secondo dei sensori passivi che rimarranno interrati circa un mese e capteranno le onde prodotte dalla microsismicità naturale. Per quanto riguarda il metodo “vibroseis” si tratta di utilizzare degli appositi camion, il più grande ha le dimensioni di un compattatore di rifiuti, poi c'è un mezzo più piccolo per i terreni più difficoltosi. Sul fondo di questi mezzi ci sono delle piastre vibranti che si appoggiano al terreno. La vibrazione dura 5 secondi. Le onde elastiche riflesse vengono captate da sensori. Si tratta in pratica di un'“ecografia”. Strati rocciosi diversi riflettono le onde in modo diverso ed è così possibile interpretare i dati in modo da mappare il sottosuolo. Nella richiesta di autorizzazione abbiamo anche documentato e previsto un terzo sistema, quello più tradizionale delle micro-cariche di esplosivo. Si cercherà di utilizzarle solo in casi estremi, quando i due altri metodi non sono applicabili. In ogni caso non si tratta di esplosioni in grado di fare danni al territorio. Eviteremo aree sensibili come i vigneti o aree con edifici storici».

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Claudia Conti

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